Coaching sportivo – Per un coaching efficace

Più domande che spiegazioni?!

Porre domande è un elemento centrale nel coaching. Cosa caratterizza un coaching efficace e quali sono i prerequisiti per farlo? Se riesco a formulare le domande giuste, posso utilizzare le risorse esistenti dell’atleta e innescare i processi mentali desiderati. Per l’allenatore/trice, il coaching consiste nell’aiutarlo a consolidare le competenze richieste ponendo maggiormente l’accento sulle domande e non sulle spiegazioni.

Blog della Formazione degli allenatori Svizzera

La Formazione degli allenatori Svizzera rafforza costantemente la sua offerta digitale e aiuta gli/le allenatori/-trici nel loro lavoro quotidiano. Per questo motivo pubblichiamo regolarmente articoli di blog interessanti, nonché astuzie e suggerimenti per gli allenamenti e le competizioni provenienti da diversi ambiti specialistici della Formazione degli allenatori Svizzera.

Tutti gli articoli del blog (parz. solo in francese)

Autore: Heinz Müller, responsabile sezione Coaching sportivo e Consulenza agli allenatori, Formazione degli allenatori Svizzera

Foto: Stan Wawrinka discute con il suo allenatore

All’atleta viene accordata fiducia e attribuite delle responsabilità affinché possa formulare riflessioni proprie e suggerimenti, nonché generare miglioramenti per trovare delle soluzioni. Va ricordato che l’atleta vuole e deve saper gestire la propria prestazione in modo autonomo, dimostrando fiducia in se stesso e attingendo alle proprie risorse durante l’allenamento e soprattutto in gara.

L’attività di un/un’allenatore/trice professionista è caratterizzata dalla possibilità di assumere diversi ruoli. Per essere efficace posso agire come allenatore/trice, consulente, coach, coach agonistico, leader o assumere ruoli specifici (ad es. mamma e allenatrice).


Che cosa contraddistingue il coaching?

Lo scopo dell’articolo seguente è di approfondire il tema relativo al ruolo di coach.

Coaching è un termine usato in modi molto diversi e oggi viene impiegato in varie forme in tutto il mondo:

  • Coaching sportivo
  • Coaching in ambito di benessere/salute
  • Coaching business
  • Coaching genitoriale
  • Coaching esecutivo
  • Coaching nutrizionale, ecc.

Che cosa s’intende esattamente quando si parla di coaching? L’Associazione professionale svizzera di coaching, supervisione e consulenza nell’organizzazione (www.bso.ch) definisce il coaching come una forma di consulenza che, applicata allo sport, mira a consentire agli atleti di sviluppare e attuare i cambiamenti desiderati negli ambiti da essi scelti o concordati con l’allenatore/trice. Stando alla suddetta associazione, il coaching può anche includere come obiettivo quello di migliorare le prestazioni e permettere agli atleti di confrontarsi con nuovi compiti.

Il dizionario di scienze dello sport (Beyer 1987, pag. 159) definisce il coaching come segue:

 «Termine che definisce tutti gli interventi di consulenza e di assistenza da parte dell’allenatore/trice, volti a consentire un miglioramento delle prestazioni in allenamento e in gara» (Beyer 1987, pag. 159 – traduzione libera).

In questa definizione, il coaching è inteso come forma di consulenza, conformemente a quanto stabilisce l’associazione professionale bso. Il coaching tuttavia può essere distinto in senso stretto dalle attività di consulenza vere e proprie. Nel libro Coaching – erfrischend einfach di (Meier 2008), il coaching viene descritto come una sorta di mestiere artigianale, poiché durante un colloquio di coaching l’obiettivo del coach è di creare un contesto intellettuale favorevole al raggiungimento di obiettivi e alla ricerca di soluzioni e che il proprio cliente a compiere i primi passi verso la messa in pratica.

In un tale contesto, l’atleta dispone di spazio e tempo per ordinare i propri pensieri, concretizzare gli obiettivi comportamentali e i risultati da raggiungere, prendere coscienza delle proprie possibilità e risorse, nonché prevedere i primi passi verso l’attuazione pratica.


«Questo contesto, costruito dal coach, consiste in domande mirate, feedback incoraggianti, ascolto attento e riassunti utili»

(Meier 2008, Pag. 10)

Sette prerequisiti per un coaching efficace nello sport

Affinché il coaching abbia successo, sono necessari alcuni prerequisiti che riguardano direttamente il coach.  Di seguito ne vengono spiegati brevemente alcuni, basati sui prerequisiti descritti da Radatz (2010) nel suo libro sul coaching sistemico, che in tale sede vengono applicati al contesto sportivo.

  1. Riporre fiducia negli/nelle atleti/e: un allenatore/trice efficace si fida delle capacità degli atleti a formulare e attuare soluzioni proprie, nonché suggerimenti per migliorare le cose.  
  2. Mostrare riconoscenza: le proposte di soluzioni e le idee delle atlete e degli atleti sono apprezzate e accolte con garbo. In qualità di allenatore/trice ho fiducia nel fatto che cercheranno di fare del loro meglio.
  3. Essere curiosi: in qualità di allenatore/trice, sono curioso/a di conoscere il bagaglio di esperienza degli/delle atleti/e e chiedo loro come valutano ad esempio le prestazioni fornite in allenamento. Sono sempre interessato a conoscere la loro opinione e atteggiamento. Sono molto bravo/a a porre domande (cfr. tabella Focus della domanda/esempi).
  4. Tralasciare l’ego: ascolto gli/le atleti/e incondizionatamente, mi immedesimo nelle loro descrizioni per riuscire a capirle. Mi trattengo dal formulare ipotesi e impressioni personali, anche se non mi risulta sempre facile. Evito di esprimere il mio punto di vista per seguire il suggerimento che l’atleta formula per generare un miglioramento.  
  5. Ricorrere alla dissociazione: sono in grado di prendere le distanze da quello che succede e a considerare dall’esterno la relazione atleta –allenatore/trice. Mi permetto di osservare dall’esterno per ottenere una visione d’insieme.
  6. Trarre insegnamenti: un coaching efficace serve a incoraggiare gli/le atleti/e ad imparare, ottimizzare e crescere. Non si tratta solo di risolvere un compito o un problema. In qualità di allenatore/trice, posso anche sfruttare il coaching per trarre insegnamenti a livello personale. Rifletto sul mio coaching insieme agli/le atleti/e o allo staff: cosa andava bene? Cosa posso migliorare la prossima volta? Ci sono altri modi di comportarsi?
  7. Cogliere il momento favorevole: sono in grado di pianificare l’allenamento in modo tale che gli/le atleti/e abbiamo voglia di  partecipare, riflettere ed essere coinvolti. Sono responsabile del processo e della direzione in cui si orienta il coaching (quadro di riferimento) e ne decido la durata e il contesto appropriati.

«Coaching is the way to empowering people to achieve what they want to achieve!»

(Autore/autrice sconosciuto/a)

Strumento di coaching: Porre domande

Ahtlet und Coach unterhalten sich in der Garderobe.
Foto: Yvan Schuwey, Trainerbildung Schweiz

Perché è così importante porre delle domande? Nei colloqui di coaching con gli/le atleti/e, la finalità della domanda può innescare i processi desiderati:

  • Riflettere a soluzioni
  • Formulare suggerimenti volti a provocare dei miglioramenti
  • Formulare idee e approcci propri
  • Favorire l’autoriflessione
  • Identificare i propri punti di forza
  • Elencare comportamenti alternativi
  • Descrivere cosa funziona e cosa permette di raggiungere dei risultati

In qualità di allenatore/trice, sono in grado di capire cosa pensi l’atleta in un determinato momento in base a ciò che dice e ho l’opportunità di seguire i suoi pensieri, approfondirli o porre domande. Per farlo applico gli atteggiamenti di base descritti in precedenza nella lista dei prerequisiti del coaching.

I paragrafi seguenti descrivono questi suggerimenti in modo più dettagliato.


Domande orientate alla soluzione

Pongo la domanda in modo tale che gli/le atleti/e possano operare da soli/e un possibile miglioramento o trovare una soluzione:

  • Cosa puoi fare affinché la prossima volta funzioni meglio? Cosa fai per migliorare la situazione?

Se l’atleta è riuscito/a ad eseguire meglio un compito predefinito, in qualità di coach durante il debriefing posso chiedere quanto segue:

  • Cosa hai fatto per far funzionare meglio le cose?

Se, in veste di coach, voglio che l’atleta si occupi di trovare una soluzione devo porre la domanda di conseguenza. Ciò aumenta la probabilità che l’atleta si impegni realmente a trovare la soluzione adatta. Naturalmente, non c’è alcuna garanzia che questo accadrà, perché lui/lei è ancora libero/a di orientare i propri pensieri e la propria attenzione nella direzione che desidera.

Nel coaching orientato alla soluzione, vogliamo che l’atleta s’impegni a trovare la soluzione. È possibile farlo chiedendo come lui/lei abbia risolto con successo un compito simile in passato oppure domandandogli/le quale comportamento potrebbe risolvere con successo il compito attribuitogli/le.


Domande sulle differenze

Chiedo all’atleta quale differenza ha notato o percepito rispetto al movimento precedente:

  • Cosa ti è riuscito meglio questa volta?
  • Cosa è andato meglio oggi in allenamento rispetto a ieri?

All’atleta viene chiesto di riflettere su cosa è cambiato, sia in meglio che in peggio. In questo modo viene stimolato a confrontarsi con la sua attuale tecnica. Il coach fornisce la propria visione in base a ciò che dice l’atleta, affinché quest’ultimo/a dia un contributo esprimendo la propria opinione senza essere influenzato/a dal punto di vista del coach.


Domanda orientata alla valutazione

Desidero che l’atleta proceda ad un’autovalutazione in merito all’esecuzione del movimento:

  • Come hai eseguito il movimento?
  • Quanto sei soddisfatto/a dell’esecuzione del movimento?

Con una persona timida e taciturna c’è il rischio di risposte monosillabiche (bene, male, no, sì, ecc.). In questo caso bisognerebbe chiedere che cosa è andato bene, che cosa invece no, a cosa lui/lei attribuisce questo risultato e a come se ne è accorto/a.


Identificare i modelli comportamentali

Vorrei sapere dall’atleta che cosa ha cercato di cambiare:

  • Cosa hai cercato di fare in modo diverso?
  • Quali cambiamenti hai apportato questa volta?

Questa domanda ha lo scopo di trovare possibili comportamenti alternativi. L’atleta è in grado di riconoscere, analizzare e modificare i modelli comportamentali abituali?

Si può aggiungere anche la domanda relativa alle differenze:

  • Da che cosa hai dedotto che questa volta era diverso?

Domanda relativa alla circolarità

L’allenatore/trice vuole sapere dall’atleta come, secondo lui/lei, i suoi compagni di squadra giudicherebbero la sua prestazione:

  • Che cosa direbbe il/la tuo/a compagno/a di squadra riguardo alla prestazione che hai fornito oggi?
  • Cosa pensi che i tuoi compagni di squadra direbbero a proposito dell’impegno da te profuso?

All’atleta viene chiesto di mettersi nei panni dei compagni di squadra. Ciò richiede la capacità di valutare una situazione da una prospettiva esterna. In qualità di coach posso riconoscere se l’atleta sia in grado di valutare il modo in cui la sua prestazione viene percepita dall’esterno. Questa capacità è importante per favorire il dialogo con i compagni di squadra e sviluppare ulteriormente le prestazioni all’interno di una squadra.


Domande ipotetiche

Come allenatore, formulo delle ipotesi per verificare se l’atleta sia sufficientemente creativo/a per capire cosa potrebbe sfruttare ulteriormente al fine di ottimizzare la propria prestazione in determinate condizioni:

  • Se avessimo sufficientemente denaro a disposizione per cosa lo useresti?

Come allenatore/trice, sono in grado di riconoscere fino a che punto l’atleta stia riflettendo ed individuare un eventuale potenziale oppure delle risorse ancora non sfruttate.


Osare porre domande paradossali

L’uso di domande paradossali può essere legittimato dal fatto che negli/le atleti/e esse possono generare sorpresa, stupore, emozione e incredulità. E l’allenatore/trice può lavorare basandosi su queste reazioni e irritazioni consapevoli. Questo genere di domande può essere efficacemente applicato a situazioni in cui l’energia è bassa o in stallo, oppure l’atleta si trova in un’impasse.

  • Cosa potrebbe peggiorare la situazione in questo momento?
  • Che cosa avrebbe potuto peggiorare la situazione?

Domanda a sorpresa

La domanda a sorpresa stimola a riflettere «fuori dagli schemi». Cosa desiderano gli/le atleti/e se avessero la possibilità di scegliere?

  • Se un miracolo dovesse accadere da un giorno all’altro come te ne accorgeresti?
  • Se avessi la possibilità di esaudire un desiderio che cosa chiederesti?

Nella prima domanda, il fattore decisivo è il motivo. Che cosa permetterebbe agli/le atleti/e di riconoscere che la situazione potrebbe essere diversa? Che cosa verrebbe risolto? Cosa sarebbe meglio? Tutto ciò crea la possibilità di discutere di ciò che sarebbe opportuno e di stabilire una connessione nella pratica.


Scala di valutazione

Vorrei che l’atleta analizzasse la propria prestazione, valutandola su una scala da 1 a 10:

  • Come valuti la tua prestazione su una scala da 1 a 10 (10 = top; 1 = flop)?

La valutazione può essere seguita da una domanda orientata alla soluzione. Partiamo dal presupposto che l’atleta valuti la propria prestazione con un 5.

A questo punto la domanda da porgli è la seguente:

  • Che cosa potresti fare per ottenere un 6 la prossima volta?

Ciò stimola l’atleta a volersi migliorare e a chiedersi: cosa posso fare per progredire?  Puntare al punteggio massimo non sarebbe utile in questo caso, perché l’atleta è ancora troppo lontano dalla prestazione ottimale.


Domanda relativa al motivo

Le domande relative alla causa possono essere sfruttate per scoprire le ragioni che hanno spinto ad eseguire una determinata azione:

  • Perché ti sei comportato/a in quel modo?
  • Perché hai scelto questa opzione?

Può capitare che l’atleta non sia in grado di rispondere alla domanda per vari motivi (comportamento non intenzionale/involontario o impulsi legati al subconscio) oppure possa sentirsi costretto/a a giustificarsi. Quando si pongono tali domande questo aspetto va tenuto in considerazione, accettato e, se necessario, trasformato in un’altra domanda.


Porre domande aperte

Optare per domande aperte aumenta la possibilità di osservare il mondo interiore dell’atleta e scoprire quali erano le sue motivazioni o intenzioni:

  • A cosa stai pensando in questo momento?
  • Che cosa ti passa per la testa?

In queste situazioni, può capitare che l’atleta non formuli subito una risposta, ma che prima ci rifletta un po’. Per un allenatore ciò significa che l’atleta sta elaborando la domanda postagli/le. Anche in questo caso, come nella preparazione atletica, si può parlare di pausa utile, infatti offro all’atleta il tempo e lo spazio necessari per riflettere. Questo vale in linea di principio per tutti i tipi di domande.


Porre domande orientate all’obiettivo

Quando voglio sapere dagli/dalle atleti/e a cosa aspirano, pongo domande orientate all’obiettivo:

  • Qual è il suo obiettivo?
  • Che cosa vuoi ottenere?
  • Come farai a capire di aver raggiunto l’obiettivo?

La domanda può anche essere formulata per verificare se l’atleta sia o meno orientato verso obiettivi legati al risultato o al comportamento. Nel caso in cui l’obiettivo fosse la conquista di una medaglia, ci troviamo di fronte ad un chiaro orientamento al risultato e si potrebbe chiedere:

  • Cosa devi fare per vincerla questa medaglia? Qual è il tuo contributo per permettere che ciò accada?

Domande basate sulle risorse

Vorrei che l’atleta usasse e mobilitasse le proprie risorse (punti di forza) nel miglior modo possibile:

  • Quali risorse hai a disposizione per affrontare la sfida?
  • Quali dei tuoi punti di forza puoi sfruttare?

Lascio esprimere gli/le atleti/e sul perché oggi possono raggiungere il successo fornendo la migliore prestazione possibile. Quali dei loro punti di forza possono sfruttare per raggiungere gli obiettivi stabiliti? Ogni successo e progresso si basa sulle risorse personali. Da parte mia, posso e devo costantemente ricordare questo aspetto all’atleta.


Osservare la situazione dall’esterno

Come allenatore, trovo importante che l’atleta riesca ad immaginare l’effetto che lui/lei ha sull’avversario. Voglio che lui/lei osservi la situazione con uno sguardo esterno:

  • Osservando la situazione dall’esterno che cosa vedresti?
  • Cosa vorresti dare come impressione verso l’esterno?
  • Che cosa vorresti che fosse visibile all’esterno?

Gestire le emozioni

Oltre a spingere l’atleta a focalizzarsi sul pensiero e sul modo di pensare, vorrei anche che fosse consapevole dei suoi stati emotivi, ponendo domande appropriate:

  • Come ti sei sentito/a?
  • Che cosa ti suscita come emozione?
  • Come stai?

Dopo una sconfitta, l’atleta può reagire emotivamente a questo tipo di domande e mostrare i propri sentimenti. Per lui/lei può essere anche una sorta di lutto. Queste emozioni hanno bisogno di spazio e di tempo. In questi momenti, attraverso la mia empatia e la mia presenza gli/le mostro che sono al suo fianco per sostenerlo/la.


Panoramica delle domande

Orientamento alla soluzione: Che cosa hai fatto per fare in modo che funzioni?

Differenza: Cosa è andato meglio oggi rispetto a ieri?

Valutazione: Quanto sei soddisfatto dell’allenamento?

Modello comportamentale: Cosa hai cercato di fare in modo diverso?

Circolarità: Cosa direbbe il tuo compagno di squadra in merito alla prestazione da te fornita?

Ipotesi: Se avessi denaro a sufficienza come lo useresti?

Paradosso: Cosa potrebbe peggiorare la situazione?

Miracolo: Se dovesse accadere improvvisamente un miracolo, da cosa lo capiresti?

Scala: Come valuti la tua prestazione su una scala da 1 a 10?

Causalità: Perché ti sei comportato/a in quel modo?

Apertura: Cosa ne pensi?

Obiettivo: Come fai a sapere di aver raggiunto l’obiettivo desiderato?

Risorse: Quali punti di forza puoi sfruttare?

Dissociazione: Se dovessi osservarti dall’esterno, cosa vedresti?

Emozione: Quali emozioni ti suscita questa situazione?


Il tempismo, un elemento fondamentale

Quando bisogna porre una domanda, in che modo farlo e cosa chiedere? Se si ha tempo a sufficienza per preparare il coaching si consiglia di riflettere per tempo a domande appropriate o di scriverle. Se invece il tempo a disposizione per formulare considerazioni preliminari durante il processo di allenamento o durante il coaching in gara è scarso, si consiglia di allenare in modo intuitivo e associativo. Ciò significa ricorrere a tutta l’esperienza e la conoscenza acquisite durante la propria carriera di atleta e di allenatore o coach per scegliere domande pertinenti da porre nella situazione specifica.


La domanda iniziale

serve a cominciare la conversazione dopo il benvenuto e l’arrivo nel contesto di coaching:

  • Che cosa ti preoccupa in particolare in questo momento?

Spesso, questa è una domanda iniziale molto azzeccata, perché è sufficientemente aperta e nel contempo abbastanza specifica da focalizzare l’attenzione dell’atleta su ciò che è importante per lui/lei in quel momento preciso.


La domanda per definire la sfida da cogliere

mi permette di chiedere all’atleta che cosa lui/lei consideri una sfida.

  • In questa situazione qual è la sfida per te?

Partendo da questa base si possono trovare e attivare le risorse adatte nell’atleta. Focalizzarsi successivamente su domande orientate alla soluzione può essere di aiuto per procedere all’analisi della sfida, allo sviluppo di soluzioni o di primi approcci.


La domanda magica

serve a sollecitare negli atleti delle risorse ancora nascoste o che si pensa siano nascoste. Non sono soddisfatto/a della prima idea o della prima soluzione, ma chiedo quali altre possibilità ci sono:

  • E cos’altro? E cos’altro? E cos’altro?

Può sembrare un approccio insistente, ma la magia consiste nel fatto che spesso chiedendo con insistenza si riesce a portare alla luce pensieri reconditi inimmaginabili.


La domanda per definire il tipo di supporto

è interessante sia per l’allenatore/trice che per gli/le atleti/e:

In che modo posso aiutarti? Come posso sostenerti?

L’allenatore/trice vuole rendersi utile e aiutare contribuendo con le proprie risorse, il che può essere legittimo. L’atleta dal canto suo è felice di essere aiutato/a. Tuttavia, ciò non significa che l’allenatore/trice debba attingere alle proprie risorse e assumersi la responsabilità della soluzione.


La domanda per provocare un feedback

funge da garanzia della qualità per il lavoro svolto dall’allenatore/trice e per il suo apprendimento personale:

Cosa ti è stato utile nel mio coaching? Su cosa ci concentriamo maggiormente? E cosa invece tralasciamo?

Sulla base di un feedback aperto e onesto da parte dell’atleta, la relazione fra quest’ultimo/a e l’allenatore/trice può crescere e la collaborazione risultarne ottimizzata.


Con la domanda per definire i passi successivi

si può concludere il coaching e formulare il trasferimento concreto nell’attuazione pratica:

Quali sono i prossimi passi?

I compiti, le misure e le scadenze dovrebbero essere chiariti così come i ruoli (chi fa cosa, come e fino a quando?). Per questa fase importante nel processo di coaching occorre pianificare tempo a sufficienza. È l’allenatore/trice che si assume la responsabilità in questo contesto, avviandolo, guidandolo e concludendolo.


Panoramica delle domande

Domanda iniziale: Qual è ora la tua principale preoccupazione

Domanda per definire la sfida: In questo momento quale sfida vorresti cogliere?

Domanda magica: C’è della altro?

Domanda per definire il tipo di supporto: In che modo posso aiutarti?

Provocare un feedback: Che cosa ti è stato utile?

Domanda per definire i passi successivi: Qual è il prossimo passo che compierai?


Conclusioni

  • Un coaching efficace consiste nel sollecitare e utilizzare le risorse esistenti degli/delle atleti/e.
  • Nel ruolo di allenatore/trice pongo intenzionalmente delle domande in modo che gli/le atleti/e siano in grado di fornire il loro contributo per migliorare o risolvere la situazione.
  • Coinvolgo attivamente gli/le atleti/e nel processo di coaching, dando loro fiducia e responsabilità per i progressi compiuti.
  • Provare per credere: poni più domande invece di parlare! …Sarà molto interessante…

Bibliografia e link

Maggiori informazioni

Conferenza di Daniel Meier, Magglinger Trainertagung 2018